Ma perché smaniare e rovistare come cinghiali affamati, inseguendo banali dati anagrafici e stupide vocali e consonanti che ci restituirebbero soltanto un nome, inchiodando l’ineffabile Banksy e le sue illuminazioni sul mondo ai semplici pezzi di uomo con una sola età, una sola faccia, un solo corpo e i mille limiti di tutti ? Perché abbattere il mistero con la sua potenza quando invece abbiamo amato proprio il dio invisibile, eppure onnipresente e onnisciente, e sognato per anni di risvegliarci con un inatteso capolavoro folgorante sul muro sotto casa ? Ma davvero si vuole imporre un nome, un indirizzo civico, una presunta biografia di fidanzatine liceali, piatti e squadra preferiti, una misura di piedi e certamente una buona dose di etichette e banalità a un artista e profeta che pratica il linguaggio e predica il credo più universali possibili ? L’arte eretica di Banksy é infatti una santa religione, chiaramente protestante, in cui il graffitaro senza nome é insieme pastore e vescovo e dio, i suoi fedeli chiunque alzi gli occhi mentre cammina per strada, la sua santa messa é la spregiudicata messa in scena e l’irriverente messa alla berlina dei problemi e paure di oggi. Eppure, senza l’obbligo di confessione che tanto ogni muro illuminato é già biografia di ogni nazione e analisi di ogni delitto, e senza una qualsiasi faccia sopra la tunica a cui rendere grazie se non l’arte in sé, o da maledire se non la nostra, il mondo dei suoi miracoli é già pieno: é la moltiplicazione dei pani marci e dei pesci morti, quindi una catena, anzi una croce, di gattini, fucili, madonne, sbirri, palloncini, ratti, profughi, colombe, televisori, bambini e paradisi decisamente artificiali in mezzo alla catastrofe. D’altronde il senso della contraddizione è il segno della croce che ci serve all’ingresso di questa messa solitaria e che ci libera all’uscita, così il muro che di per sé é brutto e violento e non dovrebbe essere né bello né utile se non a chiudere, delimitare o imprigionare, con Banksy diventa opera d’arte e libera pagina bianca del suo Vangelo. E contraddittori e religiosissimi sono infatti gli splendidi paesaggi sotto cieli azzurrissimi immaginati con sacrilega fantasia e disegnati di nascosto sull’infinito e violento muro scuro anch’esso del pianto, come tutti i muri, tra Cisgiordania e Israele, e così i palloncini rossi che volteggiano lieti e lucenti, unici elementi colorati, tra gli scheletri fumanti di ex palazzi ed ex strade della Siria. In una di queste artistiche omelie ci sono una bambina e un bambino volanti poiché entrambi aggrappati a un rosso lampioncino di carta, si guardano e forse si amano, levitando sopra le loro case bombardate e le loro vite che non ci sono più. Sembrano un po’ i teneri e svolazzanti amanti di Chagall, un po’ i protagonisti del film pixar Up, ma sono solo le lacrime di una smisurata preghiera. C’é anche l’ Italia nel pirotecnico ed eretico pellegrinaggio illegale di Banksy che ci inchioda alle visioni che non vorremmo vedere e alle colpe che non vorremmo provare, con un muro del centro di Napoli-Gomorra ad ospitare una Madonna con la pistola, d’altronde proprio lì e non altrove Malammore ha baciato il crocefisso prima di giustiziare una bambina, nel violento incesto di sacro e profano. E poi i carrelli strapieni di cose da comprare, le perquisizioni violente, gli scancellatori di sogni, i soldati, le dame con le maschere antigas e le persone-topi e altre mille accuse e zero scuse: impossibile difendersi dal Banksy senza volto che predica a sorpresa e ci scaglia addosso le nostre stesse cattive novelle, i muri non fanno solo la cruda e straniante cronaca del Male che riteniamo banalmente sempre altrove, ma sembrano quasi proiettare e snudare le nostre coscienze e quelle non puoi né deriderle né arrestarle. È una religione senza griffe ma perfettamente legata al marketing, così radicale nel taglio e messaggio e particolareggiata nella descrizione ma trasversale e globale, i suoi disegni come moderne parabole che parlano a tutti, d’altronde la sua Dismaland, eccezionale uscita dai muri e tetro luna park a base di rottami e degrado con tanto di castello delle fiabe in rovina, è un Inferno che non stentiamo a riconoscere. Eppure non c’è niente di commerciale, se non altro perché l’anonimo profeta non vuole vendere o dare nulla, ma al massimo togliere. Le certezze e il respiro. La sua arte di strada e notturna si muove per beffardo contrasto: i muri squarciati da oasi e paradisi, Topolino e il Clown del McDonald che scortano una bimba disperata, una tigre che scappa da una gabbia a forma di codice a (s)barre e la Morte inquietante gondoliera disegnata al pelo d’acqua verdognolo di un fiume-discarica. Infatti l’inquinamento globale, con probabile disappunto di Trump, il turbo consumismo e il violento disordine costituito sono i veri mostri disintegrati dalle tanto colorate quanto beffarde messe anonime di un cardinale di cui non vogliamo sapere niente, per non farlo smettere, per non fargli male e per non imparare a disprezzarlo o a dimenticarlo perché di colpo rivelatosi uomo. E quindi un imputato a cui subito dare patenti, vomitare critiche etiche ed estetiche, contestando una sopraggiunta normalità fatta di ambizioni personali e parzialità presunte, in un planetario processo con la massa che, improvvisamente ammutinata dalla messa, si fa volentieri giuria popolare e magari plotone di esecuzione per colui che quindi non era dio ma un ragazzetto, un avido artista che provocava sporcando muri. Preferiamo quindi continuare a farci aggredire, commuovere, indignare, sconvolgere, forse svegliare e magari convertire da questa religiosa arte anonima di capolavori stranianti e strane prediche capovolte. Rigorosamente dal Vangelo secondo Banksy. E quindi di nessuno e di chiunque, anche nostro.
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